È un’analisi spietata, a cui manca solo l’esplicita menzione della questione fallimenti e dell’improvvido e insostenibile coinvolgimento dei clienti, ma la cui ombra aleggia su tutto l’intervento. È mai possibile che un’associazione industriale che si vanta di operare per il bene della nazione riesca, tra le tante sue malefatte, a rivendicare il boicottaggio di una legge dello Stato? Torno a ripeterlo per l’ennesima volta: il d.lgs 122/05 non funziona solo per esclusiva volontà di chi non la vuole applicare. Lo testimonia quel 30% di imprese, meritorie e, a questo punto è il caso di dirlo, penalizzate dalla concorrenza sleale dei delinquenti. La nostra battaglia per l’applicazione della legge è anche a sostegno di queste imprese… sia chiaro una volta per tutte!!
Ance, un fallimento di sistema
L’editoriale di Guglielmo Pelliccioli
Anche se non siamo mai stati teneri con la categoria dei costruttori ci dispiace leggere che nei primi nove mesi del 2012 sono fallite 9.500 imprese edili in Italia e che dal 2009 il settore ha perso 360 mila posti di lavoro. Colpa della crisi, del mancato pagamento delle pubbliche amministrazioni, della stretta creditizia, del patto di stabilità, della tassazione sugli immobili. Ci spiace che una persona seria come Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance, non aggiunga mai a questo elenco di giuste recriminazioni anche la voce ‘Ance’, nel senso delle imprese aderenti, non certo dell’associazione. Colpe che a nostro avviso si concentrano in un unico grande peccato: la mancanza di lungimiranza.
Le imprese edili non hanno mai fatto lo sforzo di conseguire dimensioni maggiori, non hanno mai sfidato se stesse cercando commesse all’estero, hanno avuto una visione monocorde e miope della propria mission occupandosi solo di costruire e mai di gestire, sono sempre state poco capitalizzate, hanno preferito mantenere una struttura familiare anziché manageriale, hanno sempre fatto ricorso esclusivamente al credito bancario ignorando altre forme di finanziamento. Insomma non sono cresciute. Anche dal punto di vista della trasparenza hanno lasciato molto a desiderare, così come non si sono mai preoccupate di migliorare la loro immagine verso l’esterno impegnandosi nel comunicare e ribadire la loro volontà di rispettare e conservare il territorio. Hanno costantemente messo il business davanti a tutto ignorando di avere anche un ruolo e una responsabilità in materia di tutela del patrimonio, di conservazione del decoro urbano, di salvaguardia di valori estetici e di qualità della vita.
Chi costruisce le città ha anche il dovere etico e morale di renderle vivibili, funzionali, innovative, sostenibili. Per la verità molti studi pregevoli in merito sono stati commissionati ad esperti di ogni campo proprio dalla stessa Ance; l’impressione tuttavia è che siano state più delle belle esercitazioni accademiche che dei modelli di comportamento da seguire. Parlando con molti imprenditori del settore non mi è mai parso che questo fosse per loro un tema prioritario: l’importante era arrivare ad avere la concessione, ottenere la massima cubatura possibile, spuntare i minori oneri di urbanizzazione, chiudere in fretta i cantieri, vendere in corso d’opera. Stiamo ovviamente generalizzando; non ignoriamo certo che tra i costruttori vi siano aziende moderne, attente all’evoluzione urbana, sensibili ai temi della qualità, condotte con intelligenza e attenzione.
Queste imprese sono le avvisaglie di come dovrà essere il futuro, ma faticano ancora a svilupparsi, complice indubbiamente la crisi. Certo ha ragione Buzzetti a lamentarsi di uno Stato che non onora i suoi debiti (ma non era stato raggiunto un accordo, presidente?): roba davvero da quarto mondo (con tutto il rispetto per il quarto mondo). Occorrerebbe chiedere a Berlusconi e Monti cosa hanno fatto, in qualità di capi degli ultimi due governi, per saldare il pagamento dei debiti dello Stato verso le imprese prima di andare a chiedere il voto a quelli che hanno contribuito a far fallire.
Ha ragione Buzzetti nell’affermare che la situazione è diventata insostenibile oltre che drammatica, che il rilancio dell’edilizia è propedeutico alla ripresa del paese, che il Piano delle Città va perseguito senza indugi. Però non si può solo chiedere senza aver fatto un’analisi dei propri errori e dimostrare di non volerli ripetere. Affermare che “la crisi del settore delle costruzioni ha raggiunto livelli tali che rischia di trascinare l’economia italiana nel baratro” ci sembra quasi intimidatorio oltre che colpevole.
Quello che si percepisce dalle giuste istanze dell’Ance è che si vada alla ricerca di uno o più colpevoli, come se tutto fosse avvenuto solo per circostanze avverse e imprevedibili. Eppure la crisi, come sostiene Antonio Gennari, direttore del Centro Studi, loro l’avevano prevista e in tempo. Ma allora com’è che non si sono attivate tutte le misure appropriate per non soccombere così pesantemente cercando nuove strade e opportunità?