Ricevo spesso telefonate drammatiche. Ho la pelle indurita da questa vergogna che racconto ormai da diciassette anni, vivendola direttamente.
Molte delle persone e delle famiglie coinvolte per età, censo, come si diceva una volta, non sono messe bene. Soffrono, senza troppo rumore, ma soffrono. Non hanno le luci dei riflettori addosso, spesso neppure le vogliono avere per quella dignitosa ritrosia del popolo di una volta, che oggi si mescola alla difficoltà offerta dai mezzi di comunicazione a raccontare queste storie. Sono impegnati a raccontare di altro, forse di altre sofferenze, ma con il più o meno segreto impegno, quando sono equanimi, a realizzare l’uguaglianza nei disastri più che risolverli. Lucrano sugli uni e sugli altri. Quando possono lucrano, in termini di audience, anche sui nostri. Ma molto meno. Quindi meritiamo meno spazio.
Oggi, per esempio, mi ha telefonato un signore anziano, della provincia di Sondrio. A un tiro di schioppo dalla Svizzera. Ha fatto la domanda alla CONSAP nel 2006, ha ricevuto qualche anno dopo l’invito a reinviare la documentazione. Lo ha fatto. Non ha saputo più nulla. Ora dovrà telefonare alla CONSAP, chiedere della sua pratica per sapere che fine ha fatto. Aveva una voce calma, serena, non arrabbiata, ma con quella tristezza e quella malinconia che hanno le persone che vivono della loro buona coscienza. Non urlava, non imprecava, non bestemmiava la nazione priva di attenzione nei confronti dei suoi cittadini, voleva sapere solo che fine aveva fatto la sua domanda.
Ero io che bestemmiavo in cuor mio per il sovrastare idiota e feroce della burocrazia che lascia un anziano, disoccupato e invalido, senza risposta, e con lui molti altri, per anni, non per mesi, per anni!