Riflessione post natalizia

Le famiglie che usufruiscono del «Fondo di solidarietà per gli acquirenti di beni immobili da costruire» hanno certezze di pregio assoluto:

  1. non sono a carico degli altri cittadini, vale a dire dello Stato;
  2. i soldi del loro risarcimento garantiscono che altri non ne perdano, vale dire, più sono sicuri gli altri più riceveranno l’indennizzo.

Naturalmente e come al solito una logica così chiara fa fatica ad affermarsi in Italia. E così, a più di dieci anni dalla sua istituzione il Fondo non riesce a rimborsare il dovuto e altri cittadini continuano a subire gli effetti dei fallimenti delle imprese edili.

Al netto di queste considerazioni appaiono, per effetto della crisi bancaria, soluzioni di salvataggio dei soldi dei cittadini sinceramente discutibili.

Li sintetizza bene questo intervento odierno di  Mario Sechi su «List», il report del quotidiano «Il Foglio», sulla vicenda Monte dei Paschi di Siena.

L’Italia a zero risk. Venti miliardi di debito, il Monte è salvo e tutti investirono felici e contenti. Questa è la favola bella d’Italia. Solo che non se la bevono dappertutto. Non il titolare di List e non altri osservatori che sul mercato hanno qualcosa da dire: Reuters tre giorni fa ha presentato il nostro gingillo finanziario per salvare Mps così: un bail-out mascherato da bail-in. Il governo ha deciso di rimborsare gli obbligazionisti subordinati e il coro politico s’è levato alto: evviva evviva il Robin Hood ha salvato i poveri! Uhm, è davvero così? Facciamo parlare i numeri, questi sconosciuti nel Belpaese. La creazione della categoria zero risk è un azzardo. La retorica del Paese è quella nota: chi ha sottoscritto obbligazioni subordinate è considerato un malcapitato con un reddito disponibile poco sopra la soglia di sopravvivenza. Ma questa narrazione dickensiana è uno dei tanti comodi auto-inganni del Belpaese. Bloomberg traccia l’identikit di questo tipo umano: “Solo il 5.4 per cento delle famiglie italiane possiede obbligazioni bancarie e queste famiglie hanno un reddito doppio rispetto alla media nazionale”. Non solo, ma parliamo di una quota piccolissima del cosiddetto risparmio delle famiglie italiane. Secondo un recente studio di Bankitalia (“Le obbligazioni bancarie nel portafoglio delle famiglie italiane”) “alla fine del primo trimestre 2016 le obbligazioni bancarie detenute erano scese a meno del 5 per cento della ricchezza finanziaria, una quota simile a quella del 1996”. Chi ha sottoscritto obbligazioni, inoltre, ha goduto negli ultimi tre anni di un rendimento superiore a quello di chi ha comprato titoli di Stato. A maggio 2016 era di 2,2 punti percentuali. La dinamica di questo tipo di investimento, inoltre, è decrescente. Resta dunque sul taccuino del titolare di List una domanda: che profilo di risparmiatore sta “salvando” il governo? Una cosa è certa: i numeri (la realtà dei fatti) non corrispondono all’identikit del soggetto sul lastrico che ne fa la politica. Siamo al solito giochino, tre palle un soldo. E il soldo è quello dell’ignaro contribuente e serve a ripianare le perdite più o meno consapevoli di un investitore che negli ultimi tre anni ha incassato rendimenti superiori alla media. Strano paese. Né destra né sinistra mettono in discussione il rimborso a piè di lista a quello che il fantasy italiano chiama “risparmiatore”, gli interessi elettorali vengono prima di tutto. E il portafoglio? Non è di nessuno. È debito pubblico, ma prima o poi arriva il conto.

Ecco. È consolante essere sicuri che non facciamo parte di questa congrega. E con questa considerazione continuiamo nelle Feste natalizie in assoluta buona coscienza.

In ricordo di Claudio De Albertis

Ci sono modi diversi di incarnare i principi in cui si crede. L’azione politica e quella normativa che ne discende è uno dei principali e consolidati.

Nel caso della vicenda dei fallimenti immobiliari e delle loro drammatiche conseguenze per gli acquirenti, apparentemente solo un piccolo frame nella complessità dello sviluppo imprenditoriale del settore delle costruzioni, la posizione di Claudio De Albertis fu sempre ispirata dalla necessità di salvaguardare la libertà dell’iniziativa imprenditoriale.

Claudio era attento lettore di Friedrich August von Hayek, filosofo ed economista, premio Nobel per l’economia nel 1974, esponente della scuola austriaca, profondo critico dell’economia socialista pianificata, critico della nozione stessa di “giustizia sociale”, considerata una sorta di compressore delle possibilità di sviluppo dell’agire umano e, nello stesso tempo, inutile incentivo al proliferare dell’illusione sociale secondo la quale siamo interamente padroni del nostro destino in quanto possessori di una razionalità illimitata. Nell’ambito delle scelte economiche non siamo padroni del nostro destino, ci può andare bene, ci può andare male; così come nell’ambito delle nostre scelte sperimentiamo la frammentarietà delle conoscenza e la loro portata limitata.

Claudio non ha mai dimenticato le premesse di questa prospettiva insieme culturale ed economica, vale a dire la  necessaria e ineliminabile distinzione tra i soggetti che operano nel mercato e la loro diversa funzione. La giusta remunerazione dell’imprenditore dipende e ha origine dalla sua capacità di soddisfare un bisogno, di fornire utilità godibili da parte dell’acquirente dei beni che esso fornisce e vende nel mercato. Quando viene meno questa funzione, primaria rispetto al profitto che ne consegue, sempre secondario ancorché indiscutibile e necessario, i conti saltano e l’impresa fallisce. Entra allora in gioco il frame delle regole, dei correttivi, delle riallocazioni delle risorse distrutte dal fallimento, insomma l’insieme delle procedure giuridico-economiche che accompagnano l’intrapresa nella sua crisi.

Nel nostro ordinamento si trattava, prima dell’introduzione delle norme presenti nel D.lgs  122, di una vera e propria rete a strascico che rovinava i fondali stessi dell’iniziativa imprenditoriale. Assieme alle risorse del fallito, infatti, si consumavano anche quelle dell’acquirente che aveva posto la sua fiducia nel costruttore consegnandogli parte del prezzo del bene da godere in futuro. Questa distruzione cancellava non solo il patrimonio dell’acquirente ma la stessa possibilità che esso potesse essere reimpiegato per un nuovo acquisto. Muoia Sansone con tutti i Filistei, con la differenza che, diversamente che nel racconto biblico, nel mercato Sansone non è nemico dei Filistei e i Filistei non sono nemici di Sansone.

Si capiscono allora i motivi profondi e sostanziali che indussero Claudio De Albertis a sostenere lo sforzo legislativo che imponeva all’impresa, attraverso l’istituto della fidejussione, la salvaguardia del patrimonio dell’acquirente. Questa tutela era ed è finalizzata al suo rientro nel mercato, dove un altro imprenditore, più sano, più capace, e quindi in grado di soddisfare il bisogno dell’acquirente, poteva sostituirsi al precedente, fallito. In questo modo è il mercato che si difende salvaguardando l’acquirente che del mercato è elemento più che essenziale.

In questa determinazione, non da tutti compresa anche all’interno della sua stessa Associazione, sta la profonda intelligenza di Claudio De Albertis, la sua serena fiducia nella capacità del mercato di autoregolarsi e di evolversi verso un equilibrio superiore e progressivo, nel quale le sue diverse componenti trovavano piena e armonica soddisfazione dei loro bisogni.

Una fiducia, però, che alla prova dei fatti, è risultata mal riposta nei confronti di coloro che avrebbero dovuto essere i migliori sostenitori, proprio in virtù della loro etica imprenditoriale. Le percentuali di disapplicazione della legge sono risultate, e risultano, inaccettabili, sintomo di una disaffezione profonda dai valori del mercato che pure la libera impresa dice di voler promuovere. I motivi?

Bene ha fatto monsignor De Scalzi nella sua omelia alla Messa di esequie di Claudio a richiamare la denuncia che Claudio stesso faceva delle zone di opacità che oscurano e gravano il settore delle costruzioni.

La morte, che di tutti i fallimenti potrebbe apparire il più definitivo, potrebbe trasformarsi in una rinnovata speranza nella capacità di comprensione e intelligenza di coloro che restano.

Riccardo De Benedetti, vicepresidente di ASSOCOND-CONAFI

Non è più tra noi Claudio De Albertis

Abbiamo appreso che Claudio De Albertis, presidente dell’Associazione Nazionale Costruttori, è venuto a mancare. Il nostro dolore per una persona che con noi è sempre stato leale e collaborativo è profondo.

Pur rappresentando gli interessi dei costruttori lo ha fatto con probità e lungimiranza. Se il dlgs 122 è stato a suo tempo approvato lo dobbiamo anche ai suoi convincimenti e alla sua azione. Recentemente abbiamo con lui discusso la possibilità di promuovere soluzioni adeguate alla dilagante disapplicazione della legge.

Siamo vicini alla sua famiglia e ai suoi splendidi figli. L’onestà intellettuale della sua azione pubblica, la sua concretezza e la sua dedizione al lavoro dell’imprenditore, fatto con serietà ed etica della responsabilità, ci mancherà tantissimo.

Avremo modo di ricordarlo adeguatamente continuando la nostra azione.