Partecipando ai convegni si ascoltano interventi cosiddetti tecnici. Sacrosanti, importanti, professionalmente necessari anche per chi non professa… [il termine più in uso, ormai credo un tormentone, è: profilo]. Sta di fatto che un aspetto che a noi comuni mortali non viene mai chiarito è l’inesorabile e tetragona applicazione della legge di procedura fallimentare. Nulla e nessuno può scuoterla, nulla e nessuno fa recedere alcuno dei soggetti implicati dal muoversi secondo il dettato di legge risalente al 1942. Un feticcio del codice civile, credo a ragione.
Ma il punto non è questo [altro tormentone linguistico da evitare], è che viceversa e senza alcuna ragionevole ragione, senza alcun arricciarsi di sopracciglio, costoro, notai, giudici e avvocati per lo più e quasi sempre e solo loro, si limitano a constatare l’inapplicazione di fatto del dlgs 122; non c’è nessuno che dice «non si può fare», non va bene, è sbagliato, qualcuno che dica: la legge è inesorabile… così come sono inesorabili le procedure concorsuali; così come sono inesorabili i moniti del giudici sulla turbativa d’asta quando qualcuno che la casa l’ha interamente pagata espone striscioni per avvertire di un diritto di prelazione che qualcuno fatica anche a riconoscere.
Per non parlare dell’algida distinzione che viene propinata ai cittadini finiti incolpevolmente nel tritacarne delle procedure: quella tra legittimità e giustizia; nella quale è sottintesa non solo la più totale inimicizia tra la prima e la seconda, ma anche il prevalere della prima sulla seconda, in virtù di non so quale principio di inciviltà.
Beh, io questo lo chiamo il trionfo dell’inciviltà giuridica.